INTERVISTA A ITALO PICINI:LA FIEREZZA DEI NOVANTA ANNI
Ott 11, 2016,
“IL MERCATO DELL’ARTE NON LO SOPPORTO”Dalle innovazioni all’Istituto d’Arte ad un catalogo di cose autentiche
Il Presidente dell’Accademia degli Agghiacciati ha appena presentato la serata di inaugurazione dell’Anno, il 343° dalla fondazione ed il 33° dalla rifondazione: il dott. Franco Cavallone ha una punta di orgoglio nel ricordare che alla prima serata del 1978 era presente, tra gli altri, il prof. Ettore Paratore.
Poi passa a parlare della conferenza dedicata all’impresa di Fiume nel 1919/1920, dei tanti contenuti di quello che Marcello Veneziani ha definito il primo, vero Sessantotto, anche studentesco. Il programma era ambizioso, si parlava, tra l’altro, della “Dittatura dell’arte” che doveva essere instaurata.
Abbiamo vicino il pittore Italo Picini, che è stato un protagonista delle avventure artistiche in Abruzzo e in Italia e che non ha mai considerato la sua condizione di sulmonese come una limitazione. Basta chiedergli se esista oggi una “dittatura dell’arte” per avere la sensazione di aver scoperto un vaso di Pandora. I novanta anni, ormai per lui prossimi da compiere, non hanno tolto uno spiffero alle bufere che ha sempre sollevato per combattere le furbizie e le assurdità : si indigna come faceva negli Anni Cinquanta, quando rivoluzionò le finalità e la didattica dell’Istituto d’Arte “Gentile Mazara” di Sulmona e si infervora come avrebbe fatto novanta anni fa un ardito di Fiume. Picini non sarebbe stato obbediente neppure al Comandante D’Annunzio, perché è recalcitrante all’ordine militare e non subisce imposizioni. Ma paga il suo fervore anarchico (in fatto di arte, naturalmente) con un fiero isolamento, del quale non si pente e che, per giunta, vorrebbe portare all’occhiello se oggi esistesse un distintivo per i fieri lupi solitari: “Ma dov’è più l’arte? Oggi esiste la dittatura del mercato. Assistiamo solo ad operazioni di mercato per esaltare le trovate e le astuzie sostenute come estrosità; studiate bene, questo va detto, ma sono pur sempre strategie per condizionare e ingarbugliare la spesa in fatto di produzione artistica e per condizionare la stessa evoluzione artistica. Del resto, l’arte come fenomeno in sé è sottoposta al fascino del denaro; così gli americani hanno fatto il mercato degli ultimi decenni. Hanno preso spunti assolutamente inconsistenti ed hanno creato il fascino della mondanità per un prodotto non artistico. E del resto, dove si trovano le maggiori risorse, per esempio nelle banche, lì non ci sono i conoscitori di arte. Si stampano volumi che nessuno può consultare, ma che danno l’impressione della potenza, soprattutto della potenza economica, che è il vero richiamo per quelli che hanno una disponibilità di denaro, senza competenza”.
Non ha perso il gusto di ascoltare, per questo non sembra un novantenne. Cambia espressione del viso quando fa lui una domanda e attende una risposta; e ha la pazienza (che non è dei vecchi) di scomporre una risposta e cercare di individuare quello che si può condividere, senza buttare tutto. Non si nutre all’intolleranza, con la quale assumono atteggiamenti snob molti artisti quotati, anche se sa costellare con stroncature decise i soggetti artistici che non gradisce (“scarafone” e “pignate”); ma sono sanzioni amministrative rispetto alle condanne penali capitali che girano nel mondo dell’arte. Il suo è un atteggiamento bonario che consente una replica, laddove le stilettate interessate dei critici d’arte sono intrise di veleno per stendere del tutto l’avversario. Beninteso: Picini non fa niente per cercare consenso, dipinge per necessità fisiologiche. Se qualcuno l’ha deluso sotto il profilo umano e del corretto comportamento, gli toglie direttamente il saluto. Una decina di anni fa, all’inaugurazione di un “Premio Sulmona”, ci fece l’elenco delle ingratitudini di quelli che aveva aiutati e di tutti quelli che gli avevano fatto un torto e ad ognuno aveva tolto il saluto. “Ma se fa così, alla fine, passando per il Corso da Porta Napoli alla Villa, non saluta più nessuno…” osservammo. “Infatti…” fu la risposta immediata.
Eppure non è un ipercritico che si compiace dell’immobilismo, al quale è condannato il sulmonese tipico che sa molto criticare e poco operare. Ha lavorato, non si è limitato a dipingere quadri. Quando era direttore dall’Istituto d’Arte di Sulmona, intraprese una profonda trasformazione, abolendo sezioni superate e proponendo l’introduzione delle sezioni di ceramica, mosaico e tessitura artistica (successivamente oreficeria, architettura e arredamento). La scuola d’arte a Sulmona esisteva dal 1902 e doveva servire a dare informazioni culturali ai molti bravissimi artigiani condizionati dalle tradizioni secolari: “Il Consiglio di Amministrazione, del quale faceva parte l’avv. Guido Piccirilli, condivise la proposta e la inviò al competente Ministero della Pubblica Istruzioni, che l’approvò istituendo le sezioni di ceramica e tessitura artistica, escludendo quella di mosaico, perché non c’erano tradizioni sul territorio” osserva senza nostalgie, ma solo per introdurre il racconto di tutto quello che allestì per inventariare le “tessiture artistiche”, con l’impiego della lana, in tutto il circondario. Viaggiò anche presso musei e biblioteche lontane da Sulmona per studiare le caratteristiche e ricavare i disegni dalle fonti; poi, poco prima del 1960, il grande successo della esposizione di un “tappeto” pescolano alla mostra internazionale di Bruxelles. Vi avevano lavorato al “Mazara” riprendendo il motivo della “fontana della vita o dell’amore” da un tessuto antico, avuto in prestito dal Barone de Capite di Pescocostanzo. “Quasi tutti gli elaborati – pezzi unici- non si sa che fine abbiano fatto; quel lavoro impegnativo è andato del tutto perso” aggiunge in cerca di responsabilità e anche per dire che sulle tradizioni riscoperte era stata condotta pure una riflessione culturale e sociale: “Quei lavori pazienti potevano essere compiuti quando le pescolane restavano sole per lunghi inverni, mentre i mariti svernano in Puglia con le greggi. Non è cambiato l’atteggiamento delle donne, è cambiata la società, che non ha più quei tempi. E comunque è utile conoscere quel contesto per comprendere che non erano tempi bellissimi”.
Ma il futuro degli Istituti d’Arte qual è ? “Non c’è”.
E dei Licei artistici ? “Non fanno laboratorio, che per la preparazione artistica è essenziale”.
E la riforma della Gelmini nella scuola ? “A me non interessa niente”.
Di quante opere si compone la pinacoteca che ha regalato alla Provincia dell’Aquila ?
“Cento sono. Ma non si possono visitare, perché il locale che le ospita in Via Mazara è usato come magazzino; non è accessibile al pubblico. Io ho le chiavi, ma la porta è chiusa dall’interno, pare per motivi di sicurezza”.
Cento quadri di Picini sono il tracciato di una storia anche sociale del Centro-Abruzzo; ma sono il percorso della pittura in Italia, con la caratterizzazione di periodi definiti, sotto il profilo della evoluzione dell’artista e della storia dell’arte. “Io, poi, non posso farci granchè; non sono più miei, l’ho donati, appunto” .
Ma le ultime correnti dei venti di Pandora sono riservate alle amarezze nel mondo dell’arte, al tentativo fallito trenta anni fa di costituire un circolo di artisti per allestire mostre d’arte abruzzese e per destinasse ogni anno un omaggio ad un pittore nazionale; un segno di umiltà e di consapevolezza del ruolo delle mostre per scoprire giovani talenti: “Andammo anche dal notaio e stilammo lo statuto, ma poi non se ne è fatto più niente per astuzie sotterranee.”
“Il mondo dell’arte è pieno di insidie e di giochi traversi. Una volta entrai in un negozio della via del Teatro e riconobbi un mio quadro. Non ricordavo di averlo venduto, ma sapevo che era riprodotto su un mio catalogo di una mostra fatta in Puglia. Guardai meglio e scoprii che ai piedi delle due popolane c’erano delle galline che io non avevo mai dipinto nel mio quadro. Era una copia, anche abbastanza fedele. Ma cosa c’entravano quelle galline ? ”.
Nell’immagine del titolo: autoritratto giovanile del Maestro Italo Picini
Italo Picini nel 1977 accanto a Emily Dolvin, zia del presidente degli Stati Uniti, Carter, nel suo studio in Via Ciofano, davanti ad una tela con due adolescenti