ITALO PICINI – UNA RIFLESSIONE ESISTENZIALE NELLA PITTURA ABRUZZESE DEL NOVECENTO.
di Marcello Guido Lucci
L’itinerario artistico di Italo Picini si snoda, sotto il segno dell’indagine sociologica e psicologica, nell’ambito della moderna figurazione. Iconografia di alta qualità che sebbene trovi in Carlo Levi una certa affinità letteraria è in artisti come Vespignani, Francese e Ajmone che incontra contiguità stilistiche, pur nella propria autonomia espressiva. L’ispirazione, di natura emotiva, attinge a soggetti rappresentativi del “tragico quotidiano” inevitabilmente protagonisti dell’ambiente rurale-contadino. La scelta ricade sul materiale umano a disposizione, sui luoghi e sulla gente con cui condivide l’esperienza di vita, e da questa sostanza “qualunque” l’artista sa trarre valori universali. E’ la dimensione esistenziale e simbolica che coinvolge culturalmente quasi tutta la storia artistica del maestro abruzzese artefice, dunque, della rappresentazione e dell’emozione.
I suoi esordi sono caratterizzati da esempi di elegante pittura tonale vicini alla scuola romana. Opere di suadente carattere intimista, sorrette da solide volumetrie fatte di impasto materico e ombre compatte .
L’aspetto aniconico della sua arte, per quanto sporadico, si coglie nelle rare astrazioni geometriche dell’immediato dopoguerra, allorquando con composizioni come l’ipercromatica “Notte della befana”, confermata dalla sintesi dinamica di corpi del bassorilievo “Danza primitiva” e dalla vibrante scultura “Contorsionista”, (opere conservate nella mostra permanente presso il Palazzo della Provincia in Sulmona) il nostro artista dà una significativa dimostrazione di attenzione al dibattito culturale allora in corso. A conferma di un talento sorretto da basi dottrinali che attraversano consapevolmente le migliori esperienze del novecento, futurismo e astrattismo compresi.
Di particolare apertura al clima sperimentale dell’epoca è la scomposizione postcubista intitolata “Carro”, dipinto esposto alla Biennale di Venezia del 1948, in cui le nette campiture cromatiche individuano precocemente spazi astratto-concreti da altri concepiti e teorizzati solo più tardi.
Le opere successive, dalla metà degli anni cinquanta in poi, contengono già la cifra stilistica che caratterizzerà l’opera della maturità. Picini intraprende un lungo percorso figurativo di forte impatto emozionale.
I personaggi – popolane dalla monumentale imponenza – affrontano umili fatiche quotidiane con fierezza; lavandaie, pescivendole, mietitrici mai narrate con sentimento patetico ma sempre orgogliosamente ostentate. Si tratta di vigorose donne abruzzesi solenni nella loro carnalità. Probabilmente, il modello femminile obbligato di riferimento è dovuto anche alla forte emigrazione maschile patita dalla gente peligna; tuttavia le donne ritratte sono simboli indubbi dell’autorità matriarcale caratteristica delle società rurali. Madri che non sembrano sottomesse o imprigionate dall’inedia e dalla rassegnazione, ma al contrario determinate nel loro proposito di risolvere con il duro lavoro la propria e l’altrui esistenza; per loro sembra più importante “esserci” che non “essere”. Le figure, connotate da energica plasticità, sono racchiuse da un tratto deciso che compenetra magicamente anche il paesaggio circostante. Case tipicamente arroccate che, nelle opere di quegli anni, non rappresentano un semplice sfondo bensì lo scenario interlocutore; il sito del dialogo stilistico-emotivo tra le persone e l’ambiente. Paesaggio non complementare ma coprotagonista di un mondo pittorico fatto di immediatezza espressiva, alla maniera di Gino Rossi o Dalla Zorza ma con riferimenti sociali del tutto originali.
Le poche e accattivanti nature morte dello stesso periodo, riconoscibili per il vivace cromatismo e l’impostazione accademica, appaiono come sedimenti poetici della memoria abbandonati ad un autonomo destino. Una sorta di colta divagazione.
Negli anni sessanta la natura inurbata assurge sempre più a ruolo di protagonista significativo dell’urgenza pittorica piciniana. Campi mossi da vegetazione e costruzioni rurali, periferie di provincia ordinate e silenti, profili appena accennati di architetture senza tempo, spaccati di case, compaiono in tutta la loro struggente bellezza. La tavolozza di particolare peculiarità timbrica e il gesto incurante del dato descrittivo conferiscono ai dipinti un perfetto equilibrio formale. I volumi dei muri, dei tetti, delle infrequenti finestre realizzano una purezza essenziale che non necessita del disegno; gli alberi stessi sono felicemente sintetizzati in sagome che assumono volume grazie al timbro cromatico: splendidi verdi a contrasto. Le strade descrivono con singolarità lo spazio volutamente aprospettico. Il margine lasciato al cielo è sempre minimo, una stesura mossa da poche nuances, spazio calmo che accoglie l’effervescenza della natura e la fatica del vivere.
In questo periodo le donne, sorelle, madri assorte nei propri pensieri sono pittoricamente risolte da masse cromatiche magistralmente libere e istintuali. Le figure si stagliano su dilavati sfondi bruni, come totemiche presenze il cui tormento sfida risolutamente la sorte. Monumenti di dignità, al limite della sopraffazione eppure rivolti alla speranza.
Negli anni settanta le tematiche di Italo Picini superano il dato socio-antropologico per assumere un senso più apertamente politico. La raffigurazione si fa icastica denuncia della condizione giovanile non soltanto nei luoghi dell’emarginazione ( di poetica memoria pasoliniana ), o negli scenari di guerra e di varia sofferenza, ma anche nella quotidiana attività ludica degli adolescenti a noi vicini. Giovani immersi in rarefatte atmosfere di solitudine, di vuoto esistenziale, in difficoltà a comunicare e a gioire realmente. Immagini confinate in uno spazio pittorico in cui l’inquietudine e l’arcano si percepiscono acutamente.
Queste tematiche sono affrontate con tecnica di forte efficacia espressiva attraverso la quale il pittore mette in evidenza momenti cruciali della realtà. Personaggi rappresi nella loro valenza interiore di cui l’artista delinea i tratti psicologici ricorrendo, sempre più spesso, a deformazioni fisiognomiche affini al migliore espressionismo internazionale. Il ricorso ad una pittura gestuale che sfrutta occasionali stesure informali fatte di scolature, grumi, sbavature e sovrapposizioni di pigmento, conferisce alle recenti opere una preziosismo “autre” singolare, proprio perché riesce ad esprimersi modernamente ancora nel tradizionale ambito figurativo.
Di particolare fascino sono dotate le essenziali nature morte che segnano ecletticamente il lavoro di Picini dagli anni sessanta ad oggi. Composizioni ritmate da modesti elementi d’uso: bicchieri, scatole, barattoli, pennelli. Arnesi velocemente abbozzati da grigi stinti che si appoggiano a intensi ocra o terre bruciate per delineare insolite quinte teatrali. Spazi limbici, indefiniti, della rappresentazione; esclusivi luoghi dell’arte.
Vaghi oggetti che emergono dalla scena come interpreti di un lirismo immanente, muti protagonisti di una vita altra. E’ come se il maestro abruzzese, raccontando povere storie e descrivendo umili utensili, sapesse rendere anche l’esistenzialismo delle cose; istintivamente in linea con Jean Paul Sartre per il quale: l’essere è costituito dall’insieme di tutti gli esseri – cose e persone – presenti nel contesto spazio-temporale in cui si vive, ossia l’essere nelle cose e negli eventi a cui assistiamo, negli oggetti che ci circondano, a cui però solo noi diamo un senso.
Italo Picini nato a Bugnara /Aq.) nel 1920, vive e lavora a Sulmona dove è stato Preside dell’Istituto Statale d’Arte, ha insegnato pittura, disegno e arte del tessuto, negli anni si è dedicato tra l’altro al recupero e al rilancio della tessitura artistica abruzzese (Pescocostanzo), impegno da cui gli è derivato anche l’affidamento della docenza di tecniche espressive delle tradizioni popolari abruzzesi presso l’Accademia di Belle Arti di L’Aquila. Ha esposto in mostre di livello nazionale ed internazionale tra cui la XXIV Biennale di Venezia nel 1948; la VI,VII, VIII, e IX Quadriennale di Roma; la Permanente di Milano nel 1954; varie edizioni dei Premi Michetti, Avezzano, Vasto, Sulmona; la Promotrice di Torino dal 1953 al 1955; Maggio di Bari dal 1955 al 1958; mostre di gruppo a New York, Toronto, Lucerna, Lussemburgo, Roma e molte altre.
Avezzano 24/10/2023