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Quasi Come Metamorfosi

Ott 11, 2016,

Le donne “sfasciate” di Picini

– E’ un po’ commosso Italo Picini, il Maestro Picini, nella serata del suo novantesimo compleanno, che il Rotary gli ha regalato per tutto quello che ha fatto, per quello che ha donato e per le emozioni che ha affidato alle sue opere di pittore. Egli stesso, nel prendere la parola, ha passato in rassegna i regali che ha fatto :

“Ho donato cento lavori alla Provincia dell’Aquila, che sono stati sistemati negli spazi espositivi del palazzo di Sulmona; 60 lavori donati al Liceo Classico di Sulmona disposti prima del terremoto negli ampi e luminosi corridoi dell’Istituto. Il Comune di Pratola ha voluto inaugurare la Pinacoteca comunale con una mia mostra personale. Al termine ho donato trentuno opere alla Pinacoteca”.

Ma quello che ha regalato senza saperlo è il sapore dei suoi colori, delle sue forme: un dono che si ripete ogni volta che si guardano quegli oggetti e quelle persone uscite dal suo pennello, prestate alla vita quotidiana, quella reale, talvolta difficile come nelle rappresentazioni del realismo del Novecento. “E’ una pittura volumetrica, delle forme” ha detto questa sera in una intervista per descrivere la sua arte, con riferimento soprattutto alla interpretazione delle popolane dai corpi “sfasciati”, come dice lui: le donne che lo hanno colpito forse come in una metamorfosi ovidiana, nella quale l’anima rimane identica, ma l’aspetto è irrimediabilmente cambiato. Il trapasso non avviene senza dolore, sebbene l’uomo di spirito guardi sempre all’essenziale, cioè a quello che rimane intatto, con i suoi valori perenni: e per questo non si atterrisce anche se niente sembra uguale a prima e niente rassicurerebbe chi va in cerca della continuità esteriore.

Quasi tutti i suoi novanta anni, dice il maestro, sono stati dedicati alla pittura “come intima necessità” senza “fini mercantili”. Perciò quei tanti anni lo hanno appagato e lo tengono appeso al giudizio delle persone nelle quali crede e delle quali riconosce la buona fede: non sono molte, ma rappresentano i giudici che lo inducono a fare ancora meglio, pure quando, passato da qualche ora il traguardo, potrebbe riporre i pennelli nel cassetto e darsi alla critica o solo alla contemplazione. Invece crea ancora; e sta attento, come un bambino, a sentire il giudizio degli altri.

All’epoca della sua fanciullezza l’ha riportato la torta, che aveva le candeline, ma era anche sormontata dalla riproduzione di una sua operetta di quando aveva tredici o quattordici anni. Un’idea di Carlo Bianchi che aveva l’immagine, ritrovata tra le cose del tempo andato: una fitta al cuore, anche per chi ostenta divertimento nella critica e vena sulfurea nella corrosione, un tornare troppo indietro nel tempo proprio quando, a novanta anni, stava pensando al futuro